Abitazioni, lavori e servizi

La storia degli acquedotti romani


Gli acquedotti romani sono probabilmente la struttura che ci fa meglio ricordare l’ingegno e la grandezza della civiltà romana. Strumenti indispensabili per lo sviluppo cittadino e per la civilizzazione di aree rurali, gli acquedotti romani furono introdotti dai discendenti di Romolo prendendo spunto dai vicini etruschi e dai rivali greci.

Prima dello sviluppo di queste strutture infatti, i romani, come la maggior parte delle popolazioni antiche, dipendevano dalla conformazione idrogeologica del territorio, dovendo limitare la propria espansione urbanistica alla presenza di fonti e sorgenti.

Il primo acquedotto romano fu costruito per volere del censore Appio Claudio e per questo fu denominato Acqua Appia. La situazione era critica: era in corso la terza guerra sannitica, l’acqua delle falde cittadine era sgradevole e gravemente insufficiente, il Tevere era inquinato. Urgeva dunque una soluzione per risolvere le problematiche idriche della città e concedergli quel l'autosufficienza indispensabile in guerra.

L’Acqua Appia era alimentato da una sorgente distante circa 16 km da Roma, aveva un dislivello di 10 metri e scaricava tra i 50mila e 100mila metri cubi di acqua ogni giorno. Il suo percorso correva all’interno di un condotto interrato, così che fosse nascosto e al sicuro dagli attacchi nemici. Acqua Appia faceva defluire l’acqua nella fontana del mercato del bestiame, il foro boario, il punto più basso della città. Entro il terzo secolo d.c. gli acquedotti dell’ Urbe saranno undici e riusciranno a soddisfare oltre un milione di cittadini.

L’acqua convogliata negli undici acquedotti della città era in gran parte acqua sorgiva delle valli circostanti. L’acqua della sorgente era immessa in una prima struttura di pietra, la vasca di decantazione, e poi entrava nel condotto. L’area era inoltre ispezionata dagli idraulici e dagli ingegneri romani per essere certi che il l’acquedotto da costruire potesse avere un gradiente sufficiente per far defluire l’acqua in città. Era inoltre possibile per i romani raccogliere l’acqua da più sorgenti tramite un sistema capillare, oppure creare, esattamente come ai giorni nostri, delle raccolte di riserva tramite la costruzione di dighe.

I romani erano già a conoscenza dei danni che il piombo poteva avere sulla salute, le tubature degli acquedotti erano dunque costruite nella maggior dei casi in ceramica e, solo in caso di estremo bisogno, in piombo.  Gli acquedotti romani, come illustrato da Vitruvio nel De Architectura, richiedevano un complesso iter di manutenzione: pulire i condotti dalla sabbia, rimuovere concrezioni di carbonato di calcio che ostruiscono i canali in sistemi alimentati da acqua dura e riparare i danni accidentali. Le tubature che collegavano le fonti con acqua dura erano particolarmente difficili da mantenere, i loro sifoni avevano un diametro ridotto e una lunghezza inferiore ai 50 cm, la soluzione più immediata era dunque sostituire direttamente le sezioni danneggiate.

La costruzione degli acquedotti era per i romani una vera arte ed è sicuramente un catino da cui attingere per molte delle conoscenze idrauliche e ingegneristiche che possediamo oggi.


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